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Il caso di Rebecca
Per spiegare un caso pratico di concordato minore analizziamo il caso di Rebecca, 53 anni, titolare di ditta individuale artigiana nel settore oreficeria.
In questo caso parliamo di un concordato minore con finanza esterna grazie a cui Rebecca può salvaguardare la sua attività e beni di proprietà.
Non si tratta di un concordato minore liquidatorio ma di un concordato minore in continuità aziendale rafforzato da apporto di risorse esterne.
I debiti che possono essere definiti grazie alla procedura di concordato minore sono prevalentemente con Agenzia Entrate, e in minor misura con banche e fornitori.
Prima di addentrarci nel caso pratico – utilizzabile anche come fac simile per scopi didattici – spieghiamo alcune nozioni base sul concordato minore.
Necessario per il buon esito della procedura è dimostrare che tra concordato minore o liquidazione controllata la prima opzione è più conveniente per i creditori.
Inoltre, chi può accedere al concordato minore deve avere alcuni requisiti previsti dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (ccii).
In particolare possono accedere gli imprenditori commerciali che negli ultimi 3 anni non hanno superato – nemmeno per un anno – neppure una di queste 3 soglie:
- fatturato 200mila euro
- attivo (beni di proprietà) 300mila euro
- debiti 500mila euro
Inoltre possono accedere gli imprenditori agricoli di qualsiasi dimensione e i lavoratori autonomi (ovvero le partite IVA professionali).
I debiti
Rebecca ha accumulato debiti scaduti per oltre 345mila euro, di gran lunga superiori al valore del suo patrimonio e dei suoi redditi.
I creditori principali sono l’Agenzia delle Entrate e l’INPS, rispettivamente per imposte e contributi non versati da diversi anni.
I debiti scaduti rischiano di dar luogo a pignoramenti presso terzi alle Gioiellerie clienti di Rebecca, bloccandole di fatto buona parte degli incassi.
I debiti sono essenzialmente riconducibili a difficoltà economiche dovute a problemi familiari sorti negli ultimi anni.
In particolare, tra i problemi più gravi, vi è stata la salute del coniuge e la perdita di clienti causata da minor tempo dedicabile al lavoro
Altro grosso problema è stato l’acquisto – negli anni passati – della casa con accensione di mutuo a tasso variabile, e successivo repentino aumento della rata.
La situazione reddituale e familiare
Rebecca ora è separata e vive nell’appartamento di cui è comproprietaria al 50% insieme all’ex marito, e di cui paga regolarmente il mutuo.
L’appartamento viene utilizzato da Rebecca sia come abitazione che come laboratorio di oreficeria (cosiddetto uso “promiscuo”).
I problemi di salute del marito ora sono superati, sicchè Rebecca già da un anno può dedicare alla sua attività lavorativa molto più tempo.
La gestione della partita IVA ora come ora è in equilibrio e consente a Rebecca:
- di pagare regolarmente costi di gestione, tasse e contributi correnti;
- di trarre un utile netto mensile di circa 1.900 euro al mese
L’utile netto mensile è più che sufficiente a coprire le sue spese di sostentamento (mutuo, bollette, vitto, trasporto, spese mediche e farmaceutiche, etc…).
I creditori
Il mutuo ipotecario acceso per acquistare l’immobile è in regolare pagamento, seppur con qualche sforzo, poiché la rata è aumentata parecchio.
Il debito residuo del mutuo secondo il piano di ammortamento della banca ammonta attualmente ad euro 110.000
Il valore dell’immobile è 120.000 euro, di cui Rebecca è comproprietaria al 50%, dunque il valore della sua quota si aggirerebbe sui 60.000 euro scarsi.
Ci sono poi, come detto, parecchi debiti scaduti che Rebecca ha accumulato negli ultimi anni, ammontanti complessivamente a 345mila euro.
Tali debiti sono:
- in misura maggiore di natura fiscale (imposte non pagate) e previdenziale (contributi non pagati);
- in misura minore di natura commerciale (fornitori) e bancaria (piccola linea di fido)
Definire questi debiti scaduti tramite delle semplici rateizzazioni è praticamente impossibile, perché la liquidità mensile non sarebbe sufficiente a coprire gli esborsi.
Abbiamo infatti detto che la gestione attuale della partita IVA di Rebecca è sufficiente a pagare i debiti correnti e il sostentamento personale, ma nulla di più.
I beni di proprieta’
Rebecca è proprietaria al 50% (insieme all’ex marito) di un appartamento, utilizzato sia come abitazione che come laboratorio.
Il valore di mercato dell’intero immobile è di 120.000 euro (la quota di competenza di Rebecca ha quindi un valore teorico di 60.000 euro).
Rebecca è inoltre proprietaria di una autovettura piuttosto vecchia e usurata, di valore estremamente irrisorio, dunque trascurabile.
Rebecca ha infine un conto corrente bancario – con giacenza minima, dunque trascurabile – su cui affluiscono le somme necessarie al suo sostentamento.
Scopo e utilità del concordato minore
La massa di debiti di Rebecca e l’impossibilità di poterli pagare tutti rendono necessaria una procedura di sovraindebitamento.
L’opzione di una procedura liquidatoria (cioè liquidazione controllata da sovraindebitamento) non appare opportuna per due ragioni.
La prima è che Rebecca non può chiudere la partita IVA, poiché se lo facesse si priverebbe della sua fonte di sostentamento primaria, che è necessaria.
Non è infatti realistico ipotizzare che a 53 anni lei riesca sicuramente a trovare un lavoro da dipendente a tempo indeterminato.
Inoltre, la vendita dell’immobile (lo ricordiamo, di valore 120.000 euro) appare poco conveniente, in quanto se Rebecca lo vendesse:
- si priverebbe della abitazione principale
- si priverebbe del proprio luogo di lavoro
- rischierebbe di non riuscire a coprire l’importo del mutuo residuo (110.000)
- dovrebbe convincere l’ex marito (comproprietario al 50%) a mettere la firma per vendere l’immobile
Qui entra in gioco l’utilità del concordato minore in continuità, in quanto grazie a tale procedura Rebecca può riuscire a:
- proseguire la propria attività (evitando di chiudere la partita IVA)
- salvaguardare il bene immobile (necessario alla sua vita e al suo lavoro)
- definire i propri debiti (evitando che aumentino)
- continuare a pagare il mutuo (evitando di perdere l’immobile)
- neutralizzare potenziali pignoramenti (che le bloccherebbero l’attività)
- ottenere l’esdebitazione in un lasso di tempo di circa un anno (contro i 3 necessari se si opta per una procedura liquidatoria)
Convenienza alla continuità aziendale
Per capire come mai il concordato minore conviene rispetto alla liquidazione controllata, esaminiamo entrambi gli scenari.
Se Rebecca mantiene aperta la partita IVA e prosegue nel regolare pagamento del mutuo, dovrà sostenere ogni mese una rata di 1.100 euro.
La rata del mutuo è sicuramente l’esborso di importo più elevato nell’ambito delle sue spese di sostentamento mensili.
Gli utili mensili della partita IVA consentono comunque di pagare tutte le spese di sostentamento, ivi compresa la rata del mutuo, dunque la situazione è in equilibrio.
Consideriamo ora lo scenario liquidatorio, e le conseguenze che esso avrebbe sulle spese di sostentamento di Rebecca.
Cessare la partita IVA, mettere in vendita l’immobile e smettere di pagare il mutuo, comporta per Rebecca due conseguenze immediate.
La prima è che deve cercarsi un lavoro come dipendente, con l’incertezza di non trovarlo, o di trovarlo ma con una remunerazione più bassa di quella attuale.
La seconda è che dovrà cercarsi un altro immobile in locazione, col rischio di non riuscire a trovarlo o che il canone mensile sia troppo oneroso.
Il concordato minore appare dunque preferibile, poiché dà maggiori garanzie di stabilità e meno rischi di “deficit” finanziario mensile.
Necessità di concordato minore con finanza esterna
Una volta appurato che la liquidazione controllata non è l’opzione preferibile, cerchiamo ora di capire come strutturare un eventuale concordato minore.
Come abbiamo già detto, la sola continuazione dell’attività non genera alcun utile “extra” da potere destinare al pagamento dei debiti pregressi scaduti.
È quindi necessario che la proposta di concordato minore preveda quella che in gergo tecnico viene definita “nuova finanza”, o finanza esterna.
Si tratta di un apporto di risorse esterne da parte di un terzo soggetto, allo scopo di rendere la proposta appetibile per i creditori.
Il terzo soggetto nella fattispecie è la madre di Rebecca, che può fornire supporto finanziario attraverso somme risparmiate negli anni passati.
L’obiettivo è accumulare una somma totale che possa dare ai creditori una soddisfazione migliorativa di quella che avrebbero in uno scenario di liquidazione controllata.
Per farlo la madre di Rebecca si impegna a effettuare un versamento immediato di 20mila euro, e successivamente 60 versamenti mensili da 800 euro l’uno.
L’obiettivo è accumulare una somma di 58.000 euro in 5 anni, oltre a farsi carico delle spese giudiziarie che il concordato minore comporterà.
Convenienza al mantenimento dell’immobile
Il valore di libero mercato dell’immobile, stimato da un perito appositamente incaricato da Rebecca, risulterebbe essere 120.000 euro.
La vendita giudiziaria dell’immobile in un contesto di liquidazione controllata non sarebbe conveniente, né per Rebecca né per i creditori.
Infatti, è verosimile che in ipotesi di vendita forzata da liquidazione, il valore potrebbe probabilmente decrementarsi a meno di 100.000 euro.
Le ragioni di ciò sono note a chiunque conosca i meccanismi di deprezzamento che normalmente intervengono nelle aste giudiziarie:
- mancanza di garanzie per l’acquirente
- occupazione dell’immobile
- vincoli e oneri accessori
- tempistiche ristrette
- scarsa concorrenza
In altre parole, se si vende forzatamente, si ricava meno, col rischio di non potere nemmeno pagare interamente il creditore ipotecario.
Ricordiamo infatti che al momento attuale, il debito residuo verso la banca ipotecaria che ha finanziato l’acquisto dell’immobile è pari a 110.000 euro.
Inoltre, la vendita giudiziaria forzata dell’immobile farebbe aumentare le spese di procedura, cioè quelle che il Tribunale deve sostenere per gestire tale procedura.
Il concordato minore, al contrario, consente – per espressa previsione normativa – la possibilità di:
- mantenere l’immobile adibito a sede dell’attività imprenditoriale o professionale;
- proseguire il pagamento del relativo mutuo, senza interruzioni
Convenienza in termini di contenimento dei debiti
Una procedura di liquidazione controllata comporterebbe inevitabilmente un incremento dei debiti, dovuto ai seguenti fattori.
Se Rebecca smettesse di pagare il mutuo, la banca risolverebbe il contratto e le farebbe un decreto ingiuntivo, con conseguente incremento del debito.
L’interruzione dell’attività comporterebbe inoltre l’incapacità di pagare le imposte dell’anno precedente, che si trasformerebbero in cartelle esattoriali maggiorate di interessi e sanzioni.
Convenienza in termini di spese di procedura
In ipotesi di liquidazione controllata, il tribunale nominerebbe un liquidatore il cui compenso sarebbe parametrato al passivo accertato e all’attivo realizzato.
Quanto al passivo, abbiamo già visto che l’ipotesi della liquidazione controllata darebbe luogo ad un incremento dei debiti.
Quanto all’attivo, la presenza di un’immobile da vendere farebbe lievitare il compenso del liquidatore, e comporterebbe spese giudiziarie di vendita.
L’immobile dovrebbe infatti essere sgomberato, assicurato, custodito, inventariato, messo all’asta, e iscritto in conservatoria come bene sottoposto a procedura giudiziaria.
Tutti questi aspetti comportano un incremento notevole delle spese giudiziarie, ovvero quelle connesse alla gestione e alla vendita dell’immobile.
A ciò si aggiunga che, come detto, Rebecca non è proprietaria dell’intero immobile, ma solamente del 50%, in quanto l’altra metà è di proprietà dell’ex marito.
Qualora l’ex marito non acconsenta bonariamente alla vendita, sarebbe necessario acquisire e vendere la sua metà tramite un giudizio di divisione.
Il giudizio di divisione è una procedura giudiziaria che comporta alte spese, sia di natura peritale, sia di natura procedurale (incarico ad un legale).
Tutte le suddette spese andrebbero ad essere detratte dall’attivo a disposizione dei creditori, dunque andrebbero a diminuire la loro soddisfazione.
Nell’ipotesi di concordato minore, al contrario, le spese sarebbero minori in quanto non sarebbe contemplata la vendita dell’immobile.
Inoltre, la proposta di concordato minore prevede che sia la madre di Rebecca a farsi carico delle spese giudiziarie, che quindi non andrebbero a gravare sui creditori.
Convenienza in termini di soddisfazione dei creditori
Nell’ipotesi di liquidazione controllata, non sarebbe previsto l’apporto di nessuna finanza esterna, dunque i creditori potrebbero contare solamente sul ricavato della vendita dei beni.
Nella fattispecie, l’unico bene ad essere venduto sarebbe la metà dell’immobile di cui è proprietaria Rebecca, che ha un valore facciale di 60.000 euro.
L’intero ricavato della vendita dell’immobile verrebbe “assorbito” dal creditore ipotecario, il quale – lo ricordiamo – ha un credito di 110.000 euro.
Questo significa che tutti gli altri creditori (Fisco, INPS, banche, fornitori) rimarrebbero totalmente insoddisfatti, in quanto non vi sono altri beni da vendere.
Né potrebbero fare affidamento sui ricavi dell’attività lavorativa di Rebecca, in quanto la liquidazione controllata comporterebbe la cessazione della partita IVA.
Cessazione a seguito della quale probabilmente Rebecca dovrebbe cercare un contratto di lavoro dipendente dall’introito mensile alquanto irrisorio, oltre che incerto.
Perché conviene il concordato minore
Grazie al concordato minore, il creditore ipotecario continuerà ad essere pagato perché la proposta prevederà:
- il mantenimento dell’immobile (che quindi non verrà venduto)
- la prosecuzione del mutuo (che quindi non verrà interrotto)
Il creditore ipotecario verrà quindi integralmente pagato.
Quanto agli altri creditori, potranno beneficiare:
- del versamento immediato di 20.000 euro da parte della madre di Rebecca
- dei versamenti mensili di 800 euro per 5 anni
Chiaramente i suddetti versamenti non riusciranno a coprire l’intero importo dei debiti scaduti, ma solamente una parte.
Nonostante ciò, si può facilmente dimostrare (sia ai creditori che al giudice) che l’opzione del concordato minore per loro è più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
Infatti, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, da una eventuale opzione liquidatoria i creditori trarrebbero una soddisfazione pressochè pari a zero.
E’ dunque chiara la convenienza del concordato minore per i creditori rispetto alla liquidazione controllata, e tale convenienza è il punto cardine per ottenere:
- votazione favorevole della proposta da parte dei creditori
- omologa (anche forzosa) da parte del giudice
Una volta ottenuto l’avvio dell’iter da parte del giudice, sarà possibile ottenere in alcuni mesi l’omologa del concordato minore e la conseguente esdebitazione.
Se desiderate ascoltare la correlata puntata del nostro podcast “Soluzioni ai debiti”, non perdetevi l’episodio intitolato “Concordato minore con nuova finanza: a cosa serve?”.
Se invece desiderate avere una panoramica generale su cosa è un concordato minore e come funziona, cliccate per ascoltare il relativo episodio del nostro podcast.