L’indebitamento giustifica prelievi di danaro superiori agli utili
I
prelevamenti di utili da parte del socio, per importi superiori a quelli
effettivamente conseguiti dalla società, non provano in automatico l’evasione.
È questo il principio espresso dalla CTR Piemonte.
Ma cosa è
successo esattamente ?
Tutto
partiva da una verifica eseguita verso una Sas. L’ufficio rilevava che alla
voce «prelevamenti in c/utili per titolare/soci» i prelevamenti effettuati
risultavano superiori agli utili conseguiti. L’Agenzia quindi riqualificava
come ricavi in nero le somme prelevate in eccesso rispetto agli utili, e
accertava un maggior reddito di partecipazione imputato per trasparenza al
socio.
Il
contribuente impugnava l’atto impositivo, eccependo, tra l’altro, la carenza di
prova della pretesa erariale. La commissione accoglieva il ricorso e l’ufficio
proponeva appello. In particolare, l’Agenzia riteneva che le gravi irregolarità
emerse nelle scritture contabili, rappresentate dai prelevamenti eseguiti dai
soci sul conto societario, per importi superiori agli utili dichiarati,
legittimassero il recupero a tassazione.
Il
collegio afferma che l’indicazione in contabilità di prelevamenti operati dai
soci, con conseguente esposizione di un credito in capo alla società, per somme
superiori agli utili conseguiti, non legittima, sic et simpliciter, il recupero
a tassazione. All’Agenzia, infatti, è richiesto uno sforzo probatorio
ulteriore, non potendosi proporre tout court una equiparazione tra prelievi –
comunque rilevati in contabilità – e ricavi in nero.
Sul
versante probatorio, del resto, la CTR rilevava l’esistenza di elementi che
contrastano con la presunzione di ricavi in nero. Innanzitutto, l’attività
della società, operante nel settore della subfornitura automobilistica,
difficilmente si presta alla realizzazione di ricavi in nero. Inoltre – e qui
sta l’elemento di forte novità nella sentenza – le somme prelevate attingevano
da disponibilità verosimilmente riconducibili all’indebitamento bancario della
società.
Infine, il
collegio non manca di rilevare che, ferma restando l’incapacità dei
prelevamenti a fungere da fatto generatore di un’obbligazione tributaria, tale
condotta può comunque esporre gli amministratori a responsabilità di natura sia
patrimoniale che penale.
I principi
espressi differenziano in questo modo i diversi profili di responsabilità,
bocciando l’equazione prelevamento del socio uguale ricavo in nero. La
decisione pone quindi un argine alla riqualificazione automatica dei movimenti
finanziarie in componenti di reddito.
Fonte: sole24ore 06/06/2022
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