Le misure antiCovid in aiuto delle società in crisi
Sono
130mila le società di capitali che nel bilancio 2020 hanno evidenziato un
patrimonio netto negativo, su un campione di 1,3 milioni. Nel primo anno
dell’emergenza Covid l’incremento è stato di circa 50mila aziende: grazie alle
norme salvaimprese, queste società potranno continuare a operare fino al 2025
senza provvedimenti di ricapitalizzazione o trasformazione. Lo spaccato emerge
da un’indagine condotta dall’Unione giovani dottori commercialisti (Ungdcec)
sui bilanci 2020 depositati.
A poche
settimane dall’entrata in vigore del Nuovo Codice della Crisi, la ricerca della
fondazione studi dell’Unione giovani sottolinea come solo lo 0,4% delle 130mila
società con patrimonio negativo sia dotato di organo di controllo.
Ma vediamo
brevemente quali sono le misure governative introdotte, e come le imprese hanno
reagito a questi strumenti di aiuto.
Se sono molte
le imprese che ricadono nella misura emergenziale che consente di posticipare
la ricapitalizzazione, un numero limitato di società ha approfittato della
sospensione degli ammortamenti nel bilancio 2020: si tratta di 20mila realtà,
il 60% delle quali ha comunque presentato conti economici con perdita di
esercizio. Alla rivalutazione dei beni d’impresa, invece, hanno aderito 13mila
imprese, che hanno approfittato della misura soprattutto per i vantaggi fiscali
(l’aliquota per far emergere i maggiori valori era particolarmente favorevole,
il 3%) , piuttosto che per migliorare la patrimonializzazione. Solo il 2% delle
imprese che hanno sospeso gli ammortamenti ha aderito anche alla rivalutazione.
Il
sistema, in generale, presenta grandi debolezze: solo un terzo delle società di
capitali ha un indebitamento non superiore al patrimonio netto; il 7% della
quota restante ha un indebitamento di oltre il doppio rispetto ai mezzi propri.
Sulla base
dell’esperienza e di ciò che è accaduto durante la crisi finanziaria del
2008/2009 – dove i fallimenti e le procedure si sono manifestate nei quattro
anni successivi – ci si potrebbe aspettare l’esplodere della crisi tra il 2023
e il 2026. Si stimano che possano finire nel gorgo circa 60mila imprese.
Ulteriore
strumento per arginare questa situazione dovrebbe esser costituito dalla
composizione negoziata della crisi, che è diventato una componente del decreto
di riforma: a maggio 2022, secondo i dati di Unioncamere, si sono contate 217
istanze, ma moltissime domande sono state avviate e non sono state completate
(in testa Lombardia e Lazio). Le istanze sono state presentate in gran parte da
Srl; la maggioranza delle società ha fino a nove addetti. Gli esperti sono
2.358, in larghissima parte commercialisti.
Fonte: sole24ore 28/05/2022
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