La pandemia manda la Serie A al tappeto: in perdita per 1,5 miliardi
Due anni di
pandemia sono costati al calcio professionistico e agli altri sport di vertice
italiani circa due miliardi di minori ricavi. Gran parte delle perdite, quasi
1,5 miliardi, si sono registrate in Serie A. Partite a porte chiuse, capienze
ultra-limitate, e nonostante ciò i 20 club di Serie A non hanno ricevuto
ristori o indennizzi diretti, tranne i pochi milioni di euro (peraltro non
ancora materialmente elargiti) per le spese sanitarie sostenute (a patto però
di avere meno di 100 milioni di ricavi). In pratica, meno dello 0,5% dei danni
subiti sono stati in qualche modo coperti con aiuti pubblici.
Insomma, al
calcio di vertice si è deciso di non assegnare nulla, riservandogli un
trattamento diverso da tante altre imprese. A prescindere che lo si consideri
giusto o sbagliato, sta di fatto che l’industria calcistica di Serie A dà
lavoro a 300mila addetti, e un suo ridimensionamento o “ecatombe” potrebbe
essere un problema occupazionale su scala nazionale.
Ma potrebbe
essere anche un problema per la filiera sportiva, considerato che il prelievo
fiscale sulla SerieA calcistica – oltre un miliardo all’anno – finanzia per
circa un terzo (mediamente intorno ai 450 milioni) Coni, Federazioni e attività
di base attraverso Sport e Salute. In effetti, facendo un confronto con altri
settori, il diverso trattamento balza subito all’occhio. Cinema e teatri
nell’ultimo decreto ristori hanno ottenuto fondi per 110 milioni. Il cinema,
settore dell’entertainment limitrofo al calcio, in due anni ha incassato
oltre un miliardo. Sempre nell’ultimo decreto ristori, dalla ripartizione delle
somme stanziate per i gestori di impianti e piscine, sono state espressamente
escluse le società sportive professionistiche.
Al momento sembra
che siano in corso “trattative” tra Calcio e Stato ad alti livelli istituzionali,
per cercare un compromesso. Il problema è enorme, e l’esempio a cui si guarda
con invidia (per individuare una soluzione) è quello francese. Il Governo
transalpino a fronte di perdite per 1,3 miliardi ha riconosciuto ai club di Ligue
1 circa 700 milioni in prestiti a tassi super-agevolati, 50 milioni di
contributi a fondo perduto e altri 200 milioni di esenzioni d’imposta. In
Francia, dove a febbraio si tornerà al 100% di capienza, è stato anche
approvato un fondo per ristorare i mancati introiti da biglietteria per oltre
200 milioni. Solo da botteghino e hospitality, la SerieA in questi due
anni ha visto scomparire 600 milioni. Il derby Inter-Milan al 50% “perderà”
circa 2,5 milioni, mentre Milan-Juve con 5mila spettatori ha comportato un buco
di 5 milioni per il bilancio dei rossoneri. Alle richieste di aiuto si è accodata
– seppur forse con meno urgenza e disperazione – anche la Lega di SerieB, forse
maggiormente “meritevole” di aiuti, considerata la minore disponibilità
finanziaria su cui può contare.
Una cosa è
certa: questo per il Calcio italiano è
un momento che definire unico è un eufemismo. La pandemia ci ha abituati alle
novità, e dunque la cosa più di tanto non stupisce. O meglio: forse lo stupore
lascia spazio alla delusione. Se le società calcistiche negli anni passati
avessero speso i propri denari con maggiore oculatezza, creando riserve da utilizzare
negli anni “di vacche magre”, forse ora non ci troveremmo in questa situazione.
Ma si sa, soldi e lucidità difficilmente coesistono. E questo non è un problema
solo del calcio.
Fonte: sole24ore 26 Gennaio 2022
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