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Il mutuo per l’accordo con l’ex coniuge esente da imposte

In effetti, pensandoci bene, poi tanto assurdo non è, considerato che per una coppia attraversare una separazione o un divorzio significa mandare giù un “boccone amaro”. E dunque, non è male “addolcirlo” con una agevolazione. Peraltro, in questo caso, artefice di questo “addolcimento” è – con grande stupore, ma altrettanto compiacimento – proprio l’Agenzia delle Entrate, la quale afferma che beneficia della totale esenzione da imposte e tasse il mutuo stipulato per finanziare l’accordo con il quale gli ex coniugi convengono le condizioni della loro separazione o del loro divorzio. Ad esempio, l’accordo con cui uno dei coniugi acquista la quota di comproprietà dell’appartamento già adibito a residenza familiare di titolarità dell’altro coniuge. Per la precisione si tratta di un’affermazione contenuta nell’interpello 260/2022, in cui, per la prima volta, l’Agenzia delle Entrate prende in considerazione il contratto di mutuo per stabilire se esso rientri nel perimetro applicativo dell’articolo 19 della legge 74/1987, il quale dispone l’esenzione da «imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa» per «tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio»; espressione normativa che la Consulta (con la sentenza 154/1999) ha poi esteso al procedimento di separazione personale tra coniugi.

Questo panorama normativo ha avuto, in un primo tempo, un’accoglienza caratterizzata da uno spirito restrittivo: l’agevolazione venne ritenuta applicabile solo agli accordi “necessari” (quelli riguardanti l’affidamento dei figli, l’assegnazione della casa familiare e l’assegno di mantenimento) e non anche a quelli “eventuali”, cioè quelli che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata (circolare 49/E del 2000). Restava ad esempio controverso se gli accordi di rilevanza patrimoniale che eccedevano il perimetro dei coniugi (per esempio, perché coinvolgevano i figli) fossero ricompresi nel regime di esenzione (in senso negativo le risoluzioni 151/2005 e 372/2007).

A questo scenario è stato però impresso un nettissimo cambiamento di marcia da parte delle “sentenze gemelle” (111 e 3110) emesse dalla Cassazione nel febbraio 2016, con le quali si è evidenziato che il «mutato contesto normativo di riferimento» sospinge ad «addivenire al superamento del precedente indirizzo». Questo mutato contesto è caratterizzato dalla normativa sulla negoziazione assistita (Dl 132/2014) e dalla disciplina del cosiddetto divorzio breve (legge 55/2015) nonché, più in generale, dalla diversa considerazione che riveste l’accordo tra i coniugi in relazione alla separazione o al divorzio; vi è un nuovo panorama normativo, nel quale l’elemento del consenso tra i coniugi viene ad assumere il ruolo di decisivo fulcro nella definizione della crisi coniugale. Oggigiorno, si può dunque abbastanza tranquillamente ritenere che qualsiasi sistemazione patrimoniale sia pattuita nei cosiddetti “contratti della crisi coniugale” dovrebbe beneficiare dell’esenzione prevista dall’articolo 19 della legge 74/1987.

Fonte: sole24ore 12/05/2022

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