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Nuovo Codice della Crisi:  a farla da leone è il concordato in continuità

Il Nuovo Codice della Crisi dà ampio spazio alla nozione di continuità, declinandola sia come diretta (risanamento in capo al medesimo imprenditore) che indiretta (affidamento a un terzo della gestione dell’azienda).

Le nuove norme risolvono questioni controverse sempre nel senso del favore per la prosecuzione dell’attività, che ricorre anche se, al momento della presentazione della domanda, l’imprenditore non gestisce l’azienda perché l’ha affittata a un terzo, purché l’affitto sia stato stipulato in funzione del concordato. Non è un ostacolo neppure la temporanea quiescenza dell’azienda, poiché la continuità può risiedere anche nella ripresa dell’attività da parte del cessionario.

La continuità è favorita anche dalla libertà concessa dal Codice nella destinazione dei flussi derivanti dalla prosecuzione dell’attività eccedenti il valore della liquidazione dell’attivo. Non è necessario seguire l’ordine delle cause di prelazione (come per il ricavato delle dismissioni), ma solo assicurare parità di trattamento tra classi dello stesso grado e un trattamento più favorevole rispetto a quelle di grado inferiore.

Il Codice vieta inoltre, in presenza di contratti in corso, alle controparti del debitore di rifiutare l’adempimento, provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell’imprenditore, per il solo fatto dell’accesso al concordato.

Vi sarà anche maggior spazio per la tutela dei lavoratori, sempre però in misura ancillare al miglior soddisfacimento dei creditori che, a differenza dell’amministrazione straordinaria, resta l’architrave del concordato.

Di contro, il concordato liquidatorio viene incatenato a due paletti molto rigidi. Da un lato l’obbligo di pagare al chirografo almeno il 20%, dall’altro l’obbligo di apporto di finanza esterna, in misura tale da incrementare l’attivo disponibile di almeno il 10 per cento.

Nulla di tutto ciò è invece richiesto se si opta per la continuità aziendale. In tal caso è sufficiente rispettare la meno stringente regola della necessità di assicurare ai creditori un soddisfacimento non inferiore a quello derivante dalla liquidazione giudiziale.

Di manica larga anche l’interpretazione della nozione di “concordato misto”.

Per classificarlo come tale è sufficiente che i creditori siano soddisfatti grazie al ricavato della prosecuzione dell’attività, anche se non prevalente su quello derivante dalla liquidazione.

Il risultato di questa impostazione è facilmente prevedibile: alcuni piani che fino a ieri si sarebbero detti liquidatori potranno semplicemente cambiare etichetta e trovare cittadinanza all’interno del sempre più ampio schema della continuità.

 

Fonte:  sole24ore  01/08/2022

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