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Il Fisco non può “attaccare” direttamente una società in perdita

Prima di sferrare un’attacco, e far valere una pretesa, bisogna dimostrare le proprie ragioni, e convincere un giudice che quella pretesa è legittima. Questo il succo di quanto stabilito dalla Cassazione poche settimane fa.

Secondo la Suprema Corte, infatti, è illegittima la cartella di pagamento per la liquidazione di maggiori imposte derivanti dal test di operatività: la norma delle società di comodo introduce infatti dati presuntivi che vanno motivati in un avviso di accertamento.

Ma vediamo l’antefatto.

Una società riceveva una cartella derivante dal controllo automatizzato con la quale erano pretese le maggiori imposte previste per le società non operative. La contribuente non aveva presentato interpello disapplicativo e nella dichiarazione non si era adeguata ai minimi determinati dal test di operatività. La cartella di pagamento veniva impugnata dinanzi al giudice tributario, che per entrambi i gradi di merito confermava la legittimità della pretesa. La società ricorreva così in Cassazione, lamentando un’errata applicazione della norma sul controllo automatizzato.

La Corte di legittimità ha anzitutto ricordato che in materia di società di comodo l’amministrazione finanziaria non può emettere direttamente la cartella di pagamento conseguente al controllo automatizzato. I parametri previsti dal test di operatività, infatti, non rappresentano il reddito percepito, ma solo dati presuntivi sintomatici della natura non operativa della società.

Peraltro, contro tale presunzione va sempre riconosciuta al contribuente la possibilità di produrre prova contraria.

La cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è ammissibile solo se l’importo derivi da un riscontro meramente formale dei dati forniti o da una correzione di errori materiali o di calcolo. Ipotesi che si potrebbe verificare per le società di comodo solo quando sia il contribuente a indicare i maggiori valori risultanti dal test di operatività. Diversamente, quando cioè la non congruità sia verificata dall’Ufficio, occorre la valutazione e risoluzione di questioni giuridiche da motivare in uno specifico avviso di accertamento.

Ciò non era stato fatto, e per tale ragione la Cassazione ha condannato l’Agenzia al pagamento delle spese di lite.

Fonte: sole24ore 30 Dicembre 2021

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