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Composizione negoziata e professionista risanatore:  per evitare che l’azienda chiuda.

La gestione delle imprese nel post pandemia è argomento più che mai attuale, considerato che su un campione di 500.000 aziende considerate solide ante COVID, circa 182.000 sono diventate vulnerabili (dati CERVED) mentre il 2021 ha visto oltre 6.500 fallimenti in più rispetto al 2019 (dati Banca d’Italia). I settori più colpiti sono quelli dei servizi, del commercio, e del turismo, che – pur mostrando una piccola ripresa – soffrono ancora delle misure restrittive imposte negli ultimi due anni. Il sistema bancario e statale ha finora cercato di “anestetizzare” questa sofferenza con numerosi meccanismi di “congelamento”: moratorie, dilazioni fiscali, finanziamenti COVID, divieto di licenziamenti, solo per citare i più importanti. Bisogna però anche porsi il problema che queste misure non sono eterne, e che servono strumenti normativi ad hoc per gestire l’enorme massa di PMI italiane (storicamente sottocapitalizzate) che hanno bisogno di studiare piani di risanamento, e probabilmente di abbandonare l’abitudine di “vivere alla giornata”.

Per tale motivo, ad Agosto 2021, il nostro Governo ha emanato il Decreto Legge 118 “Misure urgenti in materia di crisi d’impresa e risanamento aziendale”. Tale norma ha proprio lo scopo di affiancare alle aziende una figura professionale qualificata di nomina pubblica, ovvero ad opera delle Camere di Commercio territorialmente competenti. Tale carica può essere ricoperta da un commercialista, un avvocato, o un consulente del lavoro specializzati in crisi d’impresa, e ha il compito di favorire – in un arco di tempo di 6/12 mesi – la cosiddetta “composizione negoziata della crisi”, ovvero accordi con i creditori che evitino il default dell’azienda. Presupposto di tutto ciò è che l’azienda non sia completamente decotta, ma si trovi in una situazione di temporanea (e gestibile) difficoltà.

Tale “professionista risanatore” avrebbe dunque un ruolo cruciale per il buon esito del piano di rilancio aziendale, oltre ad una grande responsabilità. A seconda di come vengono condotte le trattative con i creditori, infatti, l’epilogo potrà essere positivo o negativo. Inoltre, tale compito è tutt’altro che facile dal punto di vista tecnico: tra decreti correttivi, integrazioni, e proroghe, il nostro professionista si deve districare in un vero e proprio ginepraio normativo. Lo spirito comune di queste norme è positivo: gestire le crisi aziendali non ponendosi in ottica liquidatoria, al contrario salvaguardando la continuità, i posti di lavoro, e – più in generale – l’importanza sociale che ogni azienda riveste nel proprio territorio. Perché un’azienda in crisi non è solamente problema dell’imprenditore, ma problema di tutti: fornitori, banche, clienti, stato, dipendenti. 

I tempi sono cambiati, e – proprio a causa della pandemia – sono cambiati molto più rapidamente di quanto ci aspettassimo. Il codice della crisi emanato nel 2019, visto in ottica post COVID, è apparso troppo severo e intransigente, ragion per cui la famosa procedura di segnalazione tramite meccanismi d’allerta è stata fatta slittare al 2023: per dire se entrerà mai in vigore, bisognerebbe avere più doti da cartomante che non da giurista.

Nel frattempo non tutte le notizie sono scoraggianti. I dati sull’andamento prospettico delle aziende mostrano tassi di crescita superiori a quelli di Francia e Germania, specialmente nel settore manifatturiero.

Segno che il COVID ci ha cambiati, e forse ci ha cambiati in meglio, dandoci più forza e più flessibilità: ennesima conferma che dalle crisi non si esce mai come si è entrati.

Di questo pare essersi accorto anche il nostro Legislatore, il cui Piano Nazionale di Ripresa ha stanziato ingenti fondi per ricerca istruzione e formazione: segno di quanto sia importante capire, dalla crisi, quali siano le esigenze del Paese nella formazione del proprio capitale umano.

Fonte: brescia&futuro dicembre 2021

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